I beta-bloccanti riducono la mortalità nell'insufficienza cardiaca associata a ridotta frazione di eiezione nei pazienti in ritmo sinusale


I beta-bloccanti riducono la morbilità e la mortalità nei pazienti in ritmo sinusale con insufficienza cardiaca e frazione di eiezione ridotta [ HFrEF ].
Non è chiaro se il meccanismo chiave alla base dei benefici di questi farmaci sia la protezione dei recettori adrenergici da un'intensa attività simpatica o la riduzione della frequenza cardiaca.
E' incerto se l'efficacia dei beta-bloccanti sia correlata alla dose, alla riduzione della frequenza cardiaca o alla frequenza cardiaca raggiunta.

E' stata effettuata una meta-analisi di dati provenienti da 11 studi controllati randomizzati, in doppio cieco, sui beta-bloccanti nei pazienti con HFrEF sia in ritmo sinusale sia in fibrillazione atriale ( età mediana 65 anni; 24% donne; frazione d'eizione mediana del ventricolo sinistro al basale, 27% ).

L'endpoint primario era la mortalità per qualsiasi causa.

Tra i pazienti in ritmo sinusale ( n = 14.166 ), la frequenza cardiaca più elevata al basale era associata a una maggiore mortalità per tutte le cause ( hazard ratio aggiustato, aHR = 1.11 per 10 battiti al minuto, IC 95%, 1.07-1.15 ) dopo il follow-up medio di 1.5 anni.
Questa associazione non è stata riscontrata tra i pazienti con fibrillazione atriale ( n = 3.034, HR = 1.03 per 10 battiti al minuto, IC 95%, 0.97-1.08 ).

Tra i pazienti assegnati in modo random ai beta-bloccanti, la frequenza ventricolare è risultata ridotta di 12 battiti al minuto, indipendentemente dal fatto che i pazienti fossero in ritmo sinusale o in fibrillazione atriale.

I pazienti in ritmo sinusale assegnati casualmente ai beta-bloccanti hanno presentato un rischio minore di mortalità ( HR=0.73; IC 95%, 0.67-0.79 ), rispetto al placebo, indipendentemente dalla frequenza cardiaca di base ( P per interazione = 0.35 ).
I beta-bloccanti non hanno influenzato la mortalità nei pazienti con fibrillazione atriale ( HR=0.95; IC 95%, 0.81-1.12 ) a qualsiasi frequenza cardiaca ( P per interazione = 0.48 ).

Nei soggetti in ritmo sinusale, ma non in quelli in fibrillazione atriale, il conseguimento di una più bassa frequenza cardiaca, indipendentemente dal trattamento, è risultato associato a una migliore prognosi ( HR=1.16 per 10 battiti al minuto, IC 95%, 1.11-1.22 ).

L'analisi ha confermato una riduzione della mortalità con beta-bloccanti nei pazienti in ritmo sinusale con insufficienza cardiaca e ridotta frazione di eiezione, indipendentemente dalla frequenza cardiaca di pretrattamento all'interno dell'intervallo studiato.
La frequenza cardiaca a riposo è un importante indicatore prognostico, sia prima che dopo l'inizio del trattamento con beta-bloccanti; una più bassa frequenza cardiaca raggiunta è associata a una successiva minore mortalità ed è più probabile che si verifichi nei pazienti trattati con un beta-bloccante.
Nei pazienti con concomitante fibrillazione atriale, la frequenza cardiaca non è risultata associata alla mortalità, e i beta-bloccanti non hanno ridotto la mortalità a qualsiasi frequenza cardiaca osservata. ( Xagena2017 )

Fonte: Journal of American College of Cardiology, 2017

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